da
BOX 9.1.
Consiglio superiore della magistratura
Membri di diritto:
- presidente della Repubblica (presidente de iure del Csm)
- primo presidente della Corte di cassazione
- procuratore generale presso la Corte di cassazione
Membri elettivi:
- 16 eletti da tutti i magistrati (2 giudici di cassazione, 4 giudici requirenti, 10 giudici di merito)
- 8 eletti dal parlamento tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati con più di quindici anni di esperienza professionale
una sua leadership «politica» interna, pronta a combattere strenuamente per i propri diritti corporativi (materiali e di carriera) e con un atteggiamento assai indipendente e a volte anche aggressivo nei confronti dell’esecutivo e in generale dei politici elettivi.
Il Csm era stato concepito dalla costituzione essenzialmente come uno stru-mento per regolare e disciplinare il funzionamento interno del giudiziario. In particolare gli era stato attribuito il potere di nominare i magistrati alle diverse posizioni, di promuoverli o di rimuoverli dal loro posto e di punirli per motivi disciplinari. Grazie a questa istituzione il giudiziario sarebbe stato protetto da interventi esterni che potessero minacciare la sua autonomia (artt. 105 e 106 cost.). Il potere del ministro della Giustizia nei confronti dei magistrati ne risultava significativamente ridotto. Al ministro rimaneva soltanto il potere di promuovere l’azione disciplinare, ma alla fine ogni decisione in materia doveva poi essere presa dal Csm. In pratica in questi casi il ministro svolge il ruolo dell’accusa, ma il giudice è il Consiglio (e dunque in gran parte un collegio di magistrati).
Nel disegno costituzionale il Csm è stato pensato come un corpo misto, com-posto per una parte maggioritaria da rappresentanti dei magistrati, ma anche con una componente legata alle istituzioni rappresentative democratiche. In questa prospettiva oltre ai componenti eletti da tutti i magistrati e ai due più alti magistrati che ne fanno parte de iure, ci sono alcuni componenti «laici» eletti dal parlamento. Questi ultimi hanno tradizionalmente rappresentato in maniera abbastanza proporzionale maggioranza e opposizione e sono stati in genere caratterizzati da un’esperienza politica oltre che dalla qualificazione tecnico-giuridica (box 9.1).
Il Csm è presieduto de iure dal presidente della Repubblica, ma vista la cre-scente mole di lavoro dell’istituzione e gli impegni del capo dello stato la sua presidenza è assicurata in pratica dal vicepresidente, scelto da tutti i membri del Consiglio, tradizionalmente tra i membri laici. Questa figura si è trovata negli
TAB. 9.2. Elezioni dei componenti togati del Csm italiano, 1976-2010
SINISTRA —► DESTRA
MAGISTRATURA
DEMOCRATICA
% SEGGI MOVIMENTO PER
LA GIUSTIZIA
% SEGGI UNIONE PER LA
COSTITUZIONE
% SEGGI MAGISTRATURA
INDIPENDENTE
% SEGGI ALTRI GRUPPI % SEGGI VOTANTI
1976 13 2 42 9 36 8 9 1 5.943
1981 14 3 43 9 38 8 5 5.590
1986 19 3 41 9 34 7 6 1 6.159
1990 22 4 12 3 36 8 30 5 6.115
1994 24 5 16 4 42 8 18 3 6.837
1998 25 5 16 3 37 8 22 4 7.040
2003 26 5 18 3 37 6 15 2 4 6.847
2006 22 4 17 3 40 6 18 3 4 7.128
2010 3 3 6 3 1 7.402
Notali seggi in palio peri membri togati erano 20 fino al 1998. In forza della riformali. 442002) sono stati ridotti a 16. La riforma ha inoltre cambiato il sistema elettorale, abrogando il vecchio sistema proporzionale di lista con 4 circoscrizioni territoriali e inserendo tre separate competizioni per giudici costituzionali, requirenti e di merito.
Fonte: Adattato da Guarnieri e Pederzoli 1997 con dati Anm.
ultimi anni in una posizione delicata, dovendo in qualche modo mediare tra il giudiziario e il mondo politico in un contesto di crescente conflittualità.
Nei primi anni della sua vita il Csm, per effetto del sistema elettorale di tipo maggioritario con il quale veniva eletto e per il prevalere nell’ambito del corpo giudiziario di una cultura deferenziale, fu dominato dai magistrati della Corte di cassazione che avevano allora una vicinanza piuttosto stretta con il ministro della Giustizia e con il governo. E così, dati i poteri di nomina e di promozione e roriginario meccanismo di carriera dei giudici basato su concorsi e valutazioni, il Consiglio tendeva a riprodurre l’equilibrio esistente nel corpo giudiziario. La sua capacità di mantenere e riprodurre lo status quo è stata però progressi¬vamente erosa man mano che l’immissione di nuove leve di magistrati formati a una cultura diversa e meno inclini a sopportare questo conservatorismo, si è combinata con un processo di politicizzazione di settori significativi della magistratura. L’autorità dei ranghi superiori è stata progressivamente messa in questione anche attraverso le critiche mosse al coinvolgimento o comunque all’acquiescenza di una parte di questi nei confronti del passato regime autori¬tario. I magistrati di più alto livello sono quindi rimasti sempre più isolati e la loro associazione, l’Unione magistrati italiani (Umi), non è riuscita a far fronte alla concorrenza dell’Anm, che contando su un numero molto più alto di iscritti presso i ranghi inferiori del corpo giudiziario è stata in grado di ottenere un sistema elettorale più proporzionale e attraverso questo ha progressivamente ribaltato gli equilibri interni al Consiglio.
All’interno dell’Anm si sono progressivamente sviluppate delle correnti caratterizzate da differenti orientamenti politici di fondo (di sinistra, di cen¬tro, di destra), ma anche da concezioni parzialmente diverse del ruolo del potere giudiziario e dei magistrati nella società e dell’organizzazione interna della magistratura (tab. 9.2). Questi «partiti giudiziari» Piana e Vauchez
in stampa sono diventati gli attori centrali del Csm e hanno introdotto nei suoi lavori una logica quasi parlamentare. La dialettica destra-sinistra tra le correnti, e per molti anni in particolare tra Magistratura democratica, di sinistra, e Magistratura indipendente, più conservatrice, ha avuto una parte importante nel definire le politiche del Csm. Ancora oggi i membri togati del Consiglio vengono eletti dalle distinte componenti dell’associazione. Tuttavia, in parallelo con lo sconquasso del sistema partitico nel corso degli anni ’90, tali componenti si sono trasformate (soprattutto la corrente maggioritaria di Unione per la costituzione e il piccolo gruppo nato più di recente, Movimento per la giustizia) dividendosi e caratterizzandosi per una maggiore autonomia dalla politica. Inoltre, le diverse correnti hanno per lo più teso a fare fronte comune a difesa dei privilegi corporativi e nell’opporsi alle riforme non gradite promosse da governo e parlamento. Questo ha creato talvolta un disagio negli stessi elettori-giudici, che partecipano in modo più modesto alle consultazioni corporative, esprimendo talvolta preferenze per candidati indipendenti alle cariche dell’Anm o a un seggio nel Csm.
Nel complesso si deve dire che le associazioni dei magistrati individualmente prese e con la loro azione congiunta all’interno del Csm hanno contribuito significativamente a costruire e orientare l’identità corporativa dell’ordine giudiziario e ne hanno rafforzato il protagonismo. Sono state attive promotrici di discussioni sul funzionamento del sistema giudiziario e hanno svolto un ruolo rilevante nel concepirne e promuoverne le riforme (oltre che nell’opporsi a riforme sgradite provenienti dall’esterno). Questa capacità di influenza è stata rafforzata anche dal fatto che la gran parte degli esperti che lavoravano al ministero della Giustizia su questi temi sono stati magistrati distaccati temporaneamente dal loro lavoro. Si potrebbe persino dire che ci sia stata per molto tempo una vera e propria tendenza alla «cattura» dell’autorità politica da parte di quella corporativo-giudiziaria.
3.5. Il giudiziario protagonista del rinnovamento e del conflitto politico
Come si è anticipato (cfr. cap. 2), la crescente autonomia e la rafforzata iden¬tità corporativa del giudiziario, così come l’accresciuto attivismo dei singoli magistrati, sono stati tra le precondizioni di quel fenomeno che va sotto il nome giornalistico di Mani pulite. Nel 1992 quello che era iniziato come un caso non particolarmente rilevante di corruzione politica locale si è sviluppato rapidamente in un’operazione su larga scala di messa in stato d’accusa che ha coinvolto in pratica l’intera leadership nazionale dei partiti tradizionalmente al governo (De, Psi, Psdi, Pri e Pii), una componente più limitata dei partiti di opposizione e un gruppo significativo di imprenditori privati e di mana¬ger di aziende statali o parastatali. La magistratura, con alla testa un gruppo di pubblici ministeri milanesi che operavano in forte sintonia tra loro, ha
portato alla luce del sole sia un diffuso sistema di finanziamento illegale dei partiti che la pervasiva presenza di fenomeni di corruzione negli appalti di opere pubbliche e nelle commesse statali. Mentre in passato singoli magistrati avevano accusato singoli politici, questa volta si è trattato di un gruppo di pubblici ministeri che coordinando la loro azione hanno messo sotto inchiesta un’intera fetta di classe dirigente. Che da uno specifico caso giudiziario si sia potuti giungere poi a un’azione così estesa e infine al collasso di una classe politica è stato dovuto non solo alle precondizioni già menzionate, ma anche (e forse soprattutto) alla crisi interna di una classe politica che da un lato era diventata sempre più dipendente da quei mezzi illegali per finanziarsi e per pagare i costi crescenti della politica, e dall’altro era sempre meno in grado di legittimarsi di fronte all’opinione pubblica grazie alle proprie realizzazioni dipolicy (che lasciavano assai a desiderare). Con questa azione è venuta meno una sorta di acquiescenza che aveva portato la società, e con essa buona parte della magistratura, ad accettare senza porsi troppe domande il sistema prevalente di finanziamento della politica.
Il ruolo dei media e dell’opinione pubblica nel dare sostegno e incoraggia-mento all’azione del giudiziario è stato sicuramente di primaria importanza, ma è stato anche all’origine di alcuni problemi che ne sono derivati. I pubblici ministeri responsabili di questi casi giudiziari, e soprattutto alcuni di essi, sono diventati improvvisamente delle star del sistema mediatico anche grazie al fatto che i processi venivano mostrati in televisione. Sono stati quindi incoraggiati a fare un uso un po’ troppo facile di alcuni mezzi giudiziari straordinari, come la carcerazione preventiva, per ottenere le confessioni degli accusati e ad indossare pubblicamente i panni dei riformatori politici e sociali. In questo modo si sono trovati spesso a muoversi in maniera che lasciava adito a qualche dubbio sotto il profilo della regolarità procedurale, mentre contemporanea¬mente entravano nella difficile arena politica.
La linea di confine tra azione giudiziaria e politica è diventata molto più incerta nel corso degli anni ’90 e i magistrati si sono trovati spesso a varcarla. Un esempio abbastanza clamoroso si ebbe quando nel 1993, avendo il governo Amato cercato di chiudere con un atto parlamentare di sanatoria la bufera giudiziaria, i pubblici ministeri milanesi si espressero con una dichiarazione pubblica per fermare l’azione del governo e del parlamento (cosa che otten¬nero), o quando il più noto di questi magistrati, Di Pietro, allora una delle persone più popolari d’Italia, decise di dedicarsi all’impegno politico.
Con la vittoria di Berlusconi nelle elezioni del 1994 e la sua conquista del posto di capo del governo le relazioni tra giudiziario e istituzioni rappresen-tative sono entrate in una nuova fase, ma neanche questa tranquilla. E vero infatti che il nuovo leader si era dissociato dalla vecchia classe politica sotto attacco dei magistrati di Mani pulite, presentandosi come un politico nuovo ben diverso dai vecchi professionisti di partito, e che i suoi canali televisivi avevano ancora più nettamente cavalcato l’onda dell’antipolitica e dell’anti- partitismo di quegli anni. Non si può dimenticare tuttavia che Berlusconi e la sua compagnia televisiva, Mediaset, erano stati particolarmente vicini ai
politici di governo della tarda Prima Repubblica - Craxi per il Psi e Forlani per la De - e dunque non certo estranei al sistema che stava entrando in crisi. Inoltre Berlusconi, come molti altri imprenditori piccoli e grandi, aveva mo¬strato una forte propensione a sfuggire alle tasse con una varietà di mezzi ai limiti della legalità. Dopo aver perseguito i politici della Prima Repubblica, i magistrati si trovavano di fronte come presidente del Consiglio una persona che combinava le due posizioni di politico e di imprenditore dando quindi adito a duplici sospetti.
Va ricordato anche un tentativo di Berlusconi, con l’offerta a Di Pietro di un posto di ministro nel suo governo, di giungere a un tacito accordo con la magistratura più attivista; ma questo accordo non è riuscito. E molto presto i pubblici ministeri hanno cominciato estrazione dati a mettere sistematicamente sotto esame l’impero finanziario sia nazionale che internazionale del capo del governo, trovando un certo numero di operazioni di dubbia legalità condotte in passato dai suoi collaboratori (se non da lui stesso). Le inchieste e i giudizi che hanno coinvolto il capo di Forza Italia e le sue società sono continuate senza inter-ruzione per tutti gli anni successivi creando, soprattutto quando Berlusconi è stato in carica, una sorta di «guerra giudiziaria» che ha inevitabilmente assunto anche i toni di un conflitto politico e istituzionale. Da un lato gli accusatori erano convinti di poter addurre prove rilevanti di comportamenti illeciti di Berlusconi stesso o del suo entourage, dall’altro il leader politico li accusava di un accanimento discriminatorio contro la sua persona motivato dagli orientamenti politici dei magistrati, visto che altri centri economici non ricevevano un’attenzione paragonabile.
Non è semplice né possibile qui valutare accuratamente le ragioni di una parte e dell’altra. I processi che si sono celebrati hanno in qualche caso portato a condanne (anche per reati assai gravi) di collaboratori di Berlusconi, in altri ci sono state assoluzioni, in altri ancora è intervenuta la prescrizione. In ogni caso il conflitto tra la magistratura e un politico di primo piano ha assunto caratteri diversi dall’epoca di Mani pulite. Questa volta, infatti, non si è avuta una rapida vittoria del giudiziario: mentre i politici di allora si erano fatti da parte, in questo caso Berlusconi, forte di un consenso popolare non intac¬cato dalle accuse e sostenuto dall’alleanza di cui era stato il creatore, non ha abbandonato il campo, anzi ha sempre
BOX 9.1.
Consiglio superiore della magistratura
Membri di diritto:
- presidente della Repubblica (presidente de iure del Csm)
- primo presidente della Corte di cassazione
- procuratore generale presso la Corte di cassazione
Membri elettivi:
- 16 eletti da tutti i magistrati (2 giudici di cassazione, 4 giudici requirenti, 10 giudici di merito)
- 8 eletti dal parlamento tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati con più di quindici anni di esperienza professionale
una sua leadership «politica» interna, pronta a combattere strenuamente per i propri diritti corporativi (materiali e di carriera) e con un atteggiamento assai indipendente e a volte anche aggressivo nei confronti dell’esecutivo e in generale dei politici elettivi.
Il Csm era stato concepito dalla costituzione essenzialmente come uno stru-mento per regolare e disciplinare il funzionamento interno del giudiziario. In particolare gli era stato attribuito il potere di nominare i magistrati alle diverse posizioni, di promuoverli o di rimuoverli dal loro posto e di punirli per motivi disciplinari. Grazie a questa istituzione il giudiziario sarebbe stato protetto da interventi esterni che potessero minacciare la sua autonomia (artt. 105 e 106 cost.). Il potere del ministro della Giustizia nei confronti dei magistrati ne risultava significativamente ridotto. Al ministro rimaneva soltanto il potere di promuovere l’azione disciplinare, ma alla fine ogni decisione in materia doveva poi essere presa dal Csm. In pratica in questi casi il ministro svolge il ruolo dell’accusa, ma il giudice è il Consiglio (e dunque in gran parte un collegio di magistrati).
Nel disegno costituzionale il Csm è stato pensato come un corpo misto, com-posto per una parte maggioritaria da rappresentanti dei magistrati, ma anche con una componente legata alle istituzioni rappresentative democratiche. In questa prospettiva oltre ai componenti eletti da tutti i magistrati e ai due più alti magistrati che ne fanno parte de iure, ci sono alcuni componenti «laici» eletti dal parlamento. Questi ultimi hanno tradizionalmente rappresentato in maniera abbastanza proporzionale maggioranza e opposizione e sono stati in genere caratterizzati da un’esperienza politica oltre che dalla qualificazione tecnico-giuridica (box 9.1).
Il Csm è presieduto de iure dal presidente della Repubblica, ma vista la cre-scente mole di lavoro dell’istituzione e gli impegni del capo dello stato la sua presidenza è assicurata in pratica dal vicepresidente, scelto da tutti i membri del Consiglio, tradizionalmente tra i membri laici. Questa figura si è trovata negli
TAB. 9.2. Elezioni dei componenti togati del Csm italiano, 1976-2010
SINISTRA —► DESTRA
MAGISTRATURA
DEMOCRATICA
% SEGGI MOVIMENTO PER
LA GIUSTIZIA
% SEGGI UNIONE PER LA
COSTITUZIONE
% SEGGI MAGISTRATURA
INDIPENDENTE
% SEGGI ALTRI GRUPPI % SEGGI VOTANTI
1976 13 2 42 9 36 8 9 1 5.943
1981 14 3 43 9 38 8 5 5.590
1986 19 3 41 9 34 7 6 1 6.159
1990 22 4 12 3 36 8 30 5 6.115
1994 24 5 16 4 42 8 18 3 6.837
1998 25 5 16 3 37 8 22 4 7.040
2003 26 5 18 3 37 6 15 2 4 6.847
2006 22 4 17 3 40 6 18 3 4 7.128
2010 3 3 6 3 1 7.402
Notali seggi in palio peri membri togati erano 20 fino al 1998. In forza della riformali. 442002) sono stati ridotti a 16. La riforma ha inoltre cambiato il sistema elettorale, abrogando il vecchio sistema proporzionale di lista con 4 circoscrizioni territoriali e inserendo tre separate competizioni per giudici costituzionali, requirenti e di merito.
Fonte: Adattato da Guarnieri e Pederzoli 1997 con dati Anm.
ultimi anni in una posizione delicata, dovendo in qualche modo mediare tra il giudiziario e il mondo politico in un contesto di crescente conflittualità.
Nei primi anni della sua vita il Csm, per effetto del sistema elettorale di tipo maggioritario con il quale veniva eletto e per il prevalere nell’ambito del corpo giudiziario di una cultura deferenziale, fu dominato dai magistrati della Corte di cassazione che avevano allora una vicinanza piuttosto stretta con il ministro della Giustizia e con il governo. E così, dati i poteri di nomina e di promozione e roriginario meccanismo di carriera dei giudici basato su concorsi e valutazioni, il Consiglio tendeva a riprodurre l’equilibrio esistente nel corpo giudiziario. La sua capacità di mantenere e riprodurre lo status quo è stata però progressi¬vamente erosa man mano che l’immissione di nuove leve di magistrati formati a una cultura diversa e meno inclini a sopportare questo conservatorismo, si è combinata con un processo di politicizzazione di settori significativi della magistratura. L’autorità dei ranghi superiori è stata progressivamente messa in questione anche attraverso le critiche mosse al coinvolgimento o comunque all’acquiescenza di una parte di questi nei confronti del passato regime autori¬tario. I magistrati di più alto livello sono quindi rimasti sempre più isolati e la loro associazione, l’Unione magistrati italiani (Umi), non è riuscita a far fronte alla concorrenza dell’Anm, che contando su un numero molto più alto di iscritti presso i ranghi inferiori del corpo giudiziario è stata in grado di ottenere un sistema elettorale più proporzionale e attraverso questo ha progressivamente ribaltato gli equilibri interni al Consiglio.
All’interno dell’Anm si sono progressivamente sviluppate delle correnti caratterizzate da differenti orientamenti politici di fondo (di sinistra, di cen¬tro, di destra), ma anche da concezioni parzialmente diverse del ruolo del potere giudiziario e dei magistrati nella società e dell’organizzazione interna della magistratura (tab. 9.2). Questi «partiti giudiziari» Piana e Vauchez
in stampa sono diventati gli attori centrali del Csm e hanno introdotto nei suoi lavori una logica quasi parlamentare. La dialettica destra-sinistra tra le correnti, e per molti anni in particolare tra Magistratura democratica, di sinistra, e Magistratura indipendente, più conservatrice, ha avuto una parte importante nel definire le politiche del Csm. Ancora oggi i membri togati del Consiglio vengono eletti dalle distinte componenti dell’associazione. Tuttavia, in parallelo con lo sconquasso del sistema partitico nel corso degli anni ’90, tali componenti si sono trasformate (soprattutto la corrente maggioritaria di Unione per la costituzione e il piccolo gruppo nato più di recente, Movimento per la giustizia) dividendosi e caratterizzandosi per una maggiore autonomia dalla politica. Inoltre, le diverse correnti hanno per lo più teso a fare fronte comune a difesa dei privilegi corporativi e nell’opporsi alle riforme non gradite promosse da governo e parlamento. Questo ha creato talvolta un disagio negli stessi elettori-giudici, che partecipano in modo più modesto alle consultazioni corporative, esprimendo talvolta preferenze per candidati indipendenti alle cariche dell’Anm o a un seggio nel Csm.
Nel complesso si deve dire che le associazioni dei magistrati individualmente prese e con la loro azione congiunta all’interno del Csm hanno contribuito significativamente a costruire e orientare l’identità corporativa dell’ordine giudiziario e ne hanno rafforzato il protagonismo. Sono state attive promotrici di discussioni sul funzionamento del sistema giudiziario e hanno svolto un ruolo rilevante nel concepirne e promuoverne le riforme (oltre che nell’opporsi a riforme sgradite provenienti dall’esterno). Questa capacità di influenza è stata rafforzata anche dal fatto che la gran parte degli esperti che lavoravano al ministero della Giustizia su questi temi sono stati magistrati distaccati temporaneamente dal loro lavoro. Si potrebbe persino dire che ci sia stata per molto tempo una vera e propria tendenza alla «cattura» dell’autorità politica da parte di quella corporativo-giudiziaria.
3.5. Il giudiziario protagonista del rinnovamento e del conflitto politico
Come si è anticipato (cfr. cap. 2), la crescente autonomia e la rafforzata iden¬tità corporativa del giudiziario, così come l’accresciuto attivismo dei singoli magistrati, sono stati tra le precondizioni di quel fenomeno che va sotto il nome giornalistico di Mani pulite. Nel 1992 quello che era iniziato come un caso non particolarmente rilevante di corruzione politica locale si è sviluppato rapidamente in un’operazione su larga scala di messa in stato d’accusa che ha coinvolto in pratica l’intera leadership nazionale dei partiti tradizionalmente al governo (De, Psi, Psdi, Pri e Pii), una componente più limitata dei partiti di opposizione e un gruppo significativo di imprenditori privati e di mana¬ger di aziende statali o parastatali. La magistratura, con alla testa un gruppo di pubblici ministeri milanesi che operavano in forte sintonia tra loro, ha
portato alla luce del sole sia un diffuso sistema di finanziamento illegale dei partiti che la pervasiva presenza di fenomeni di corruzione negli appalti di opere pubbliche e nelle commesse statali. Mentre in passato singoli magistrati avevano accusato singoli politici, questa volta si è trattato di un gruppo di pubblici ministeri che coordinando la loro azione hanno messo sotto inchiesta un’intera fetta di classe dirigente. Che da uno specifico caso giudiziario si sia potuti giungere poi a un’azione così estesa e infine al collasso di una classe politica è stato dovuto non solo alle precondizioni già menzionate, ma anche (e forse soprattutto) alla crisi interna di una classe politica che da un lato era diventata sempre più dipendente da quei mezzi illegali per finanziarsi e per pagare i costi crescenti della politica, e dall’altro era sempre meno in grado di legittimarsi di fronte all’opinione pubblica grazie alle proprie realizzazioni dipolicy (che lasciavano assai a desiderare). Con questa azione è venuta meno una sorta di acquiescenza che aveva portato la società, e con essa buona parte della magistratura, ad accettare senza porsi troppe domande il sistema prevalente di finanziamento della politica.
Il ruolo dei media e dell’opinione pubblica nel dare sostegno e incoraggia-mento all’azione del giudiziario è stato sicuramente di primaria importanza, ma è stato anche all’origine di alcuni problemi che ne sono derivati. I pubblici ministeri responsabili di questi casi giudiziari, e soprattutto alcuni di essi, sono diventati improvvisamente delle star del sistema mediatico anche grazie al fatto che i processi venivano mostrati in televisione. Sono stati quindi incoraggiati a fare un uso un po’ troppo facile di alcuni mezzi giudiziari straordinari, come la carcerazione preventiva, per ottenere le confessioni degli accusati e ad indossare pubblicamente i panni dei riformatori politici e sociali. In questo modo si sono trovati spesso a muoversi in maniera che lasciava adito a qualche dubbio sotto il profilo della regolarità procedurale, mentre contemporanea¬mente entravano nella difficile arena politica.
La linea di confine tra azione giudiziaria e politica è diventata molto più incerta nel corso degli anni ’90 e i magistrati si sono trovati spesso a varcarla. Un esempio abbastanza clamoroso si ebbe quando nel 1993, avendo il governo Amato cercato di chiudere con un atto parlamentare di sanatoria la bufera giudiziaria, i pubblici ministeri milanesi si espressero con una dichiarazione pubblica per fermare l’azione del governo e del parlamento (cosa che otten¬nero), o quando il più noto di questi magistrati, Di Pietro, allora una delle persone più popolari d’Italia, decise di dedicarsi all’impegno politico.
Con la vittoria di Berlusconi nelle elezioni del 1994 e la sua conquista del posto di capo del governo le relazioni tra giudiziario e istituzioni rappresen-tative sono entrate in una nuova fase, ma neanche questa tranquilla. E vero infatti che il nuovo leader si era dissociato dalla vecchia classe politica sotto attacco dei magistrati di Mani pulite, presentandosi come un politico nuovo ben diverso dai vecchi professionisti di partito, e che i suoi canali televisivi avevano ancora più nettamente cavalcato l’onda dell’antipolitica e dell’anti- partitismo di quegli anni. Non si può dimenticare tuttavia che Berlusconi e la sua compagnia televisiva, Mediaset, erano stati particolarmente vicini ai
politici di governo della tarda Prima Repubblica - Craxi per il Psi e Forlani per la De - e dunque non certo estranei al sistema che stava entrando in crisi. Inoltre Berlusconi, come molti altri imprenditori piccoli e grandi, aveva mo¬strato una forte propensione a sfuggire alle tasse con una varietà di mezzi ai limiti della legalità. Dopo aver perseguito i politici della Prima Repubblica, i magistrati si trovavano di fronte come presidente del Consiglio una persona che combinava le due posizioni di politico e di imprenditore dando quindi adito a duplici sospetti.
Va ricordato anche un tentativo di Berlusconi, con l’offerta a Di Pietro di un posto di ministro nel suo governo, di giungere a un tacito accordo con la magistratura più attivista; ma questo accordo non è riuscito. E molto presto i pubblici ministeri hanno cominciato estrazione dati a mettere sistematicamente sotto esame l’impero finanziario sia nazionale che internazionale del capo del governo, trovando un certo numero di operazioni di dubbia legalità condotte in passato dai suoi collaboratori (se non da lui stesso). Le inchieste e i giudizi che hanno coinvolto il capo di Forza Italia e le sue società sono continuate senza inter-ruzione per tutti gli anni successivi creando, soprattutto quando Berlusconi è stato in carica, una sorta di «guerra giudiziaria» che ha inevitabilmente assunto anche i toni di un conflitto politico e istituzionale. Da un lato gli accusatori erano convinti di poter addurre prove rilevanti di comportamenti illeciti di Berlusconi stesso o del suo entourage, dall’altro il leader politico li accusava di un accanimento discriminatorio contro la sua persona motivato dagli orientamenti politici dei magistrati, visto che altri centri economici non ricevevano un’attenzione paragonabile.
Non è semplice né possibile qui valutare accuratamente le ragioni di una parte e dell’altra. I processi che si sono celebrati hanno in qualche caso portato a condanne (anche per reati assai gravi) di collaboratori di Berlusconi, in altri ci sono state assoluzioni, in altri ancora è intervenuta la prescrizione. In ogni caso il conflitto tra la magistratura e un politico di primo piano ha assunto caratteri diversi dall’epoca di Mani pulite. Questa volta, infatti, non si è avuta una rapida vittoria del giudiziario: mentre i politici di allora si erano fatti da parte, in questo caso Berlusconi, forte di un consenso popolare non intac¬cato dalle accuse e sostenuto dall’alleanza di cui era stato il creatore, non ha abbandonato il campo, anzi ha sempre
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