Thursday, January 28, 2016
Bathroom Fitting Wakefield - Identify The Simple Facts About Them
Wednesday, January 27, 2016
prima edizione, quando
che ha evidenziato la crescita improvvisa della volatilità elettorale, sia totale che di blocco, sin dal 1992 - evidentemente un’elezione già «diversa» rispetto al trend della Prima Repubblica. Il mutamento ha raggiunto il suo picco massimo nel 1994 e ha mantenuto livelli elevati ancora nel 1996. La tabella 4.2 mostra altresì che quella del 2001 può essere considerata davvero un’elezione di «stabilizzazione» del nuovo sistema partitico (cfr. cap. 3), anche se i dati successivi non tornano mai alla bonaccia che aveva connotato lunghi tratti della Prima Repubblica.
Identificato il quantum di mutamento, almeno in termini di esiti per il sistema partitico, dovremmo poter interpretare meglio i fattori che spiegano le nuove scelte degli elettori. Ma su questo aspetto la discussione è ancora aperta: in genere, gli specialisti hanno finito per enfatizzare soprattutto la continuità nei comportamenti elettorali del periodo 1994-2006, nel quale le sole variazioni dell’astensionismo intermittente avrebbero favorito il successo di una coali-zione o dell’altra D’Alimonte e Bartolini 2002, Questa osservazione sulla relativa instabilità del voto in Italia non impedisce tuttavia l’apertura di altri suggestivi fronti di discussione, come la ricerca di correlazioni tra appartenenza socio-occupazionale e scelta di voto Beliucci 1997, o, più recentemente, sul forte impatto esercitato sugli elettori dal richiamo della leadership o di alcune specifiche issues (cfr. cap. 10).
2.4. Dal «quasi-pareggio del 2006 al bipolarismo limitato
Le elezioni del 9-10 aprile 2006 saranno ricordate per un esito incredibil¬mente incerto: la vittoria finale della coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi è stata decisa alla Camera da una maggioranza di soltanto 24.000 voti, che sono stati però sufficienti affinché la coalizione ottenesse, in forza della nuova legge elettorale, il premio di maggioranza che ha portato a 340 il numero complessivo dei propri seggi. Al Senato, invece, nonostante un numero complessivo di voti inferiore alla coalizione avversa, lo stesso centro-sinistra ha ottenuto una risicatissima maggioranza di soltanto due senatori, grazie al gioco dei «piccoli premi di maggioranza» e al buon risul¬tato del cartello dell’Unione nella circoscrizione per gli italiani all’estero. Si è trattato di una vittoria di Romano Prodi e della sua coalizione, a dispetto dell’ostacolo frappostogli dalla riforma elettorale e delle tante esternazioni della Cdl (e del suo leader, Berlusconi, in particolare) che hanno messo in dubbio la legittimità delle elezioni ipotizzando brogli e irregolarità nel computo dei voti? O forse si è trattato di una (quasi-)vittoria dello stesso Berlusconi, capace di recuperare con un efficace sprint finale il vantaggio che Prodi con una lunga maratona aveva accumulato Mancini 2007? E ancora, la decisione del centro-destra di cambiare le regole elettorali alla fine si è rivelata controproducente?
Gli eventi successivi sembrano dare qualche risposta a tali domande: sicu-ramente, Prodi non aveva vinto con margine sufficiente per governare una coalizione così complessa. Altrettanto sicuramente, Berlusconi poteva uscire dalla sua (seconda) sconfitta nei confronti del professore bolognese con una rinvigorita fama di «condottiero» che gli sarebbe tornata utile pochi mesi dopo, con la svolta del predellino e la fondazione del futuro Popolo della libertà. Tuttavia, una seconda risposta possibile è che l’Italia, in tutti questi anni, sia rimasta davvero «divisa» come mostra in fondo anche il risultato nettamente favorevole al centro-destra del 2008 (tab. 4.3). Si tratta di una divisione che non taglia esattamente a metà l’elettorato italiano, ma i dati di-cono che sia nel 2006 che nel 2008 la volatilità globale (tab. 4.2) si è assestata su livelli piuttosto contenuti e che, soprattutto, gli italiani hanno rinunciato del tutto a comportamenti di voto «non utili»: soltanto lo 0,5% dei voti validi è andato a liste non comprese nelle due coalizioni maggioritarie, mentre nel 2008 molti elettori di sinistra hanno preferito non rischiare un voto inutile al cartello della sinistra radicale, condannando così quest’area a rimanere fuori dal parlamento.
Il percorso di progressiva bipolarizzazione, che nel 2006 sembrava com-pletato, nel 2008 è entrato in una nuova fase: la maggiore semplicità del sistema partitico viene infatti bilanciata dal ritorno di quello spazio centrale che, con l’emergere di varie forme di dissociazione sia dal Pdl che dal Pd nel corso della successiva legislatura, ha poi acquisito un certo potenziale di sopravvivenza. Questo stato di cose, che è stato dagli osservatori definito un
TAB.4.3. Risultati elettorali, 2008
CAMERA SENATO
VOTI
(PREMIO) % SEGGI VOTI
(ITALIA) % SEGGI
Pdl 13.629.089 37,4 276 12.678.790 38,0 147
Ln 3.024.758 8,3 60 2.644.247 7,9 25
Mpa 410.487 1,1 8 355.076 1,1 2
Centro-destra 17.064.334 46,8 344 15.678.113 46,9 174
Pd 12.092.969 33,2 217 11.061.578 33,1 118
Idv 1.593.532 4,4 29 1.414.118 4,2 14
Svp - Insieme autonomie 153.965 0,5 2
Aut. Lib. Dem. (Valle d'Aosta) 1 26.375 0,1 0
Centro-sinistra 13.686.501 37,6 247 12.656.036 37,9 134
Udc 2.050.309 5,6 36 1.898.886 5,7 3
Sinistra arcobaleno 1.124.428 3,1 0 1.093.135 3,3 0
La Destra-Ft 885.226 2,4 0 703.685 2,1 0
Altri 3 4
Totale 630 315
Nota:! voti della colonna «Camera premio» non includono il collegio uninominale Valle d'Aosta e la circoscrizione estero. I voti della colonna «Senato Italia» non considerano la circoscrizione estero. Le colonne relative ai seggi invece tengono conto dei collegi esclusi dalle colonne precedenti.
Fonte: Ministero dell'Interno.
«bipolarismo limitato» D’Alimonte e Chiaramonte 2010, non ha scardinato il sistema delle preferenze emerso sin dai primi anni della Seconda Repub¬blica. I comportamenti e le aspettative degli elettori non sembrano insomma mutare in modo così evidente nel tempo. In altre parole, la continuità degli atteggiamenti - tradizionale caratteristica nel comportamento elettorale degli italiani - è ancora evidente.
A guardare bene, le ultime elezioni hanno mostrato qualche elemento im-portante di cambiamento o consolidamento negli atteggiamenti degli elettori italiani. Solo per fare alcuni esempi, inserimento dati possiamo citare il rafforzamento di un astensionismo che per la prima volta ha colpito in modo evidente anche la sinistra radicale, l’ulteriore sfilacciamento del voto cattolico, il disagio e l’in-certezza nelle generazioni più giovani, e infine il posizionamento di alcune key issues sapientemente condotte dalla comunicazione politica al centro del dibattito. Tutti questi fenomeni, al centro delle analisi degli specialisti Itanes 2008, non mutano tuttavia il quadro complessivo di polarizzazione e di forti divisioni identitarie che connota l’elettorato italiano da alcuni decenni. In definitiva, sono relativamente pochi coloro che cambiano leader o partito (o semplicemente che decidono le sorti di una elezione attivandosi o meno), ma le motivazioni alla base di questi limitati, ma decisivi, spostamenti sono le più disparate, dipendendo dalla comunicazione politica, dallo stile delle campagne, dalla capacità di leadership, e talvolta anche (per fortuna!) dai
contenuti delle piattaforme programmatiche. Il «mondo» dell’elettore italiano, per quanto stabile, è dunque assai complesso e sensibile a una molteplicità di fattori, e questo giustifica il risveglio della ricerca su questi temi Bellucci e Segatti 2011,
3. CULTURE POLITICHE E COMPORTAMENTO ELETTORALE
3.1. La cultura politica degli italiani
L’evoluzione del rapporto tra la politica e un’intera società non è catturabile e interpretabile soltanto a partire dall’analisi macro del comportamento di voto e dalla misurazione dell’impatto delle diverse regole del gioco. Non a caso, gli approcci tradizionalmente proposti dalla scienza politica allo studio del comportamento politico in un dato paese sono plurali e complementari. Alcuni studiosi si concentrano sulla ripetitività dei comportamenti di voto e sulla partecipazione, altri analizzano, con il decisivo apporto di dati di son¬daggio, l’evoluzione della presenza di particolari valori e orientamenti come la religione, l’identificazione di classe, le conoscenze del gioco politico e il grado di capacità di valutazione degli attori politici. Altri ancora studiano il peso di alcuni valori predominanti che si radicano nel territorio generando «culture subnazionali» o più semplicemente «subculture», con effetti di lungo periodo sui comportamenti politici. Le prime dimensioni di analisi sono state brevemente affrontate nei paragrafi precedenti, mentre qui ci concentriamo sulla terza dimensione, limitando peraltro la nostra presentazione alla discus-sione delle implicazioni che l’esistenza di subculture radicate oramai da oltre un secolo determinano nelle scelte di voto e in generale nei comportamenti politici.
Del resto, abbiamo già ricordato in apertura, in termini generali, l’importanza che riveste la variabile territoriale nello strutturare i modelli del comporta-mento di voto in una comunità politica così geograficamente e socialmente frammentata come quella italiana. Nelle prossime pagine descriveremo l’evoluzione dei trend di differenziazione territoriale nel voto durante l’era repubblicana, partendo dai risultati della copiosa letteratura sulle Italie del voto Cartocci 1985. Ovviamente, rispetto ai dati e alle ricchissime implicazioni contenute in questa letteratura facciamo qui la scelta precisa di estrapolare soltanto conoscenze descrittive e generali sul comportamento politico degli italiani.
3.2. Le subculture e le Italie del voto
La figura 4.4 mostra l’illustrazione sommaria, tratta da un noto studio con-dotto su dati disaggregati a livello provinciale Diamanti 2009, del modello
fig. 4.4. Aree del voto subculturale in Italia (1948-1990).
Fonte: Elaborazione www.demos.it. Si ringrazia Ilvo Diamanti per aver reso la mappa disponibile.
di distribuzione dei voti nella fase «partitocratica». In questa sede non commentiamo in dettaglio le caratteristiche delle varie «zone subculturali». Dobbiamo tuttavia soffermarci su alcune macroaree, ben identificate nella mappa, dove, per un lungo periodo, i partiti dominanti hanno potuto per-petuare la propria superiorità di consensi grazie, appunto, a un consolidato legame subculturale, ovvero al prevalere di un voto di tipo identitario da parte di una forte maggioranza relativa di elettori.
Secondo la mappa, l’«area rossa» si sovrapponeva alle quattro regioni del centro, mentre quella «bianca» comprendeva essenzialmente le regioni
del triveneto, la parte orientale della Lombardia, la Brianza e la provincia di Cuneo in Piemonte. Gli altri territori del Nord si dividevano tra aree parzialmente caratterizzate dalla presenza della subcultura «bianca» e aree «neutrali» (soprattutto in Piemonte e Liguria) dove la forte componente operaia poteva favorire la sinistra, o dove una componente rilevante di «voto di opinione» diventava spesso decisiva. Altre aree neutrali (in termini di prevalenza subculturale) erano quelle urbane del Centro-Sud. A Roma, per esempio, l’elettorato cittadino sceglieva in prevalenza la sinistra, mentre le periferie e la campagna laziale erano dominate dalla De. Anche le regioni del Sud risultavano caratterizzate dall’assenza di un vero e proprio dominio subculturale, ma questo non ha impedito alla De di mantenere il controllo su larghe fasce di elettorato, grazie a un’élite politica che in queste aree era maggiormente legata alla tradizione notabilare della fase prerepubblicana, e che riusciva a ottenere una grande messe di consensi anche in virtù di un esteso voto di scambio. Si può dire che la distribuzione dei comportamenti di voto prevalenti si sovrapponeva in modo piuttosto preciso ai confini di entità politico-amministrative - le province e in qualche misura le regioni
- che certo avevano una loro «storia» ma che costituivano, tutto sommato, creazioni piuttosto recenti (cfr. cap. 6). Non mancavano tuttavia significative eccezioni, come mostrano le varie «isole» subculturali riscontrabili nella mappa. A livello macro, appare significativamente deviarne soprattutto il caso della Sardegna, regione con una piccola area di predominio comunista a sud, nella zona di Cagliari, e un voto moderato e sostanzialmente favorevole alla De nelle restanti aree.
In quale misura la differenziazione tra le varie aree è ancora rilevante? Le domande sul radicamento delle subculture politiche hanno attratto in realtà l’attenzione di molti studiosi sin dagli anni ’60, quando presso l’Istituto Cattaneo di Bologna venne organizzata la prima ricerca in profondità sul comportamento elettorale degli italiani Galli 1968. Gli esperti, politologi e sociologi ma anche alcuni storici, hanno spiegato come la continuità di un chiaro modello di differenziazione degli orientamenti partitici prevalenti avesse una solida origine culturale, che si sovrapponeva
Saturday, January 23, 2016
in carica per gli affari
da
BOX 9.1.
Consiglio superiore della magistratura
Membri di diritto:
- presidente della Repubblica (presidente de iure del Csm)
- primo presidente della Corte di cassazione
- procuratore generale presso la Corte di cassazione
Membri elettivi:
- 16 eletti da tutti i magistrati (2 giudici di cassazione, 4 giudici requirenti, 10 giudici di merito)
- 8 eletti dal parlamento tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati con più di quindici anni di esperienza professionale
una sua leadership «politica» interna, pronta a combattere strenuamente per i propri diritti corporativi (materiali e di carriera) e con un atteggiamento assai indipendente e a volte anche aggressivo nei confronti dell’esecutivo e in generale dei politici elettivi.
Il Csm era stato concepito dalla costituzione essenzialmente come uno stru-mento per regolare e disciplinare il funzionamento interno del giudiziario. In particolare gli era stato attribuito il potere di nominare i magistrati alle diverse posizioni, di promuoverli o di rimuoverli dal loro posto e di punirli per motivi disciplinari. Grazie a questa istituzione il giudiziario sarebbe stato protetto da interventi esterni che potessero minacciare la sua autonomia (artt. 105 e 106 cost.). Il potere del ministro della Giustizia nei confronti dei magistrati ne risultava significativamente ridotto. Al ministro rimaneva soltanto il potere di promuovere l’azione disciplinare, ma alla fine ogni decisione in materia doveva poi essere presa dal Csm. In pratica in questi casi il ministro svolge il ruolo dell’accusa, ma il giudice è il Consiglio (e dunque in gran parte un collegio di magistrati).
Nel disegno costituzionale il Csm è stato pensato come un corpo misto, com-posto per una parte maggioritaria da rappresentanti dei magistrati, ma anche con una componente legata alle istituzioni rappresentative democratiche. In questa prospettiva oltre ai componenti eletti da tutti i magistrati e ai due più alti magistrati che ne fanno parte de iure, ci sono alcuni componenti «laici» eletti dal parlamento. Questi ultimi hanno tradizionalmente rappresentato in maniera abbastanza proporzionale maggioranza e opposizione e sono stati in genere caratterizzati da un’esperienza politica oltre che dalla qualificazione tecnico-giuridica (box 9.1).
Il Csm è presieduto de iure dal presidente della Repubblica, ma vista la cre-scente mole di lavoro dell’istituzione e gli impegni del capo dello stato la sua presidenza è assicurata in pratica dal vicepresidente, scelto da tutti i membri del Consiglio, tradizionalmente tra i membri laici. Questa figura si è trovata negli
TAB. 9.2. Elezioni dei componenti togati del Csm italiano, 1976-2010
SINISTRA —► DESTRA
MAGISTRATURA
DEMOCRATICA
% SEGGI MOVIMENTO PER
LA GIUSTIZIA
% SEGGI UNIONE PER LA
COSTITUZIONE
% SEGGI MAGISTRATURA
INDIPENDENTE
% SEGGI ALTRI GRUPPI % SEGGI VOTANTI
1976 13 2 42 9 36 8 9 1 5.943
1981 14 3 43 9 38 8 5 5.590
1986 19 3 41 9 34 7 6 1 6.159
1990 22 4 12 3 36 8 30 5 6.115
1994 24 5 16 4 42 8 18 3 6.837
1998 25 5 16 3 37 8 22 4 7.040
2003 26 5 18 3 37 6 15 2 4 6.847
2006 22 4 17 3 40 6 18 3 4 7.128
2010 3 3 6 3 1 7.402
Notali seggi in palio peri membri togati erano 20 fino al 1998. In forza della riformali. 442002) sono stati ridotti a 16. La riforma ha inoltre cambiato il sistema elettorale, abrogando il vecchio sistema proporzionale di lista con 4 circoscrizioni territoriali e inserendo tre separate competizioni per giudici costituzionali, requirenti e di merito.
Fonte: Adattato da Guarnieri e Pederzoli 1997 con dati Anm.
ultimi anni in una posizione delicata, dovendo in qualche modo mediare tra il giudiziario e il mondo politico in un contesto di crescente conflittualità.
Nei primi anni della sua vita il Csm, per effetto del sistema elettorale di tipo maggioritario con il quale veniva eletto e per il prevalere nell’ambito del corpo giudiziario di una cultura deferenziale, fu dominato dai magistrati della Corte di cassazione che avevano allora una vicinanza piuttosto stretta con il ministro della Giustizia e con il governo. E così, dati i poteri di nomina e di promozione e roriginario meccanismo di carriera dei giudici basato su concorsi e valutazioni, il Consiglio tendeva a riprodurre l’equilibrio esistente nel corpo giudiziario. La sua capacità di mantenere e riprodurre lo status quo è stata però progressi¬vamente erosa man mano che l’immissione di nuove leve di magistrati formati a una cultura diversa e meno inclini a sopportare questo conservatorismo, si è combinata con un processo di politicizzazione di settori significativi della magistratura. L’autorità dei ranghi superiori è stata progressivamente messa in questione anche attraverso le critiche mosse al coinvolgimento o comunque all’acquiescenza di una parte di questi nei confronti del passato regime autori¬tario. I magistrati di più alto livello sono quindi rimasti sempre più isolati e la loro associazione, l’Unione magistrati italiani (Umi), non è riuscita a far fronte alla concorrenza dell’Anm, che contando su un numero molto più alto di iscritti presso i ranghi inferiori del corpo giudiziario è stata in grado di ottenere un sistema elettorale più proporzionale e attraverso questo ha progressivamente ribaltato gli equilibri interni al Consiglio.
All’interno dell’Anm si sono progressivamente sviluppate delle correnti caratterizzate da differenti orientamenti politici di fondo (di sinistra, di cen¬tro, di destra), ma anche da concezioni parzialmente diverse del ruolo del potere giudiziario e dei magistrati nella società e dell’organizzazione interna della magistratura (tab. 9.2). Questi «partiti giudiziari» Piana e Vauchez
in stampa sono diventati gli attori centrali del Csm e hanno introdotto nei suoi lavori una logica quasi parlamentare. La dialettica destra-sinistra tra le correnti, e per molti anni in particolare tra Magistratura democratica, di sinistra, e Magistratura indipendente, più conservatrice, ha avuto una parte importante nel definire le politiche del Csm. Ancora oggi i membri togati del Consiglio vengono eletti dalle distinte componenti dell’associazione. Tuttavia, in parallelo con lo sconquasso del sistema partitico nel corso degli anni ’90, tali componenti si sono trasformate (soprattutto la corrente maggioritaria di Unione per la costituzione e il piccolo gruppo nato più di recente, Movimento per la giustizia) dividendosi e caratterizzandosi per una maggiore autonomia dalla politica. Inoltre, le diverse correnti hanno per lo più teso a fare fronte comune a difesa dei privilegi corporativi e nell’opporsi alle riforme non gradite promosse da governo e parlamento. Questo ha creato talvolta un disagio negli stessi elettori-giudici, che partecipano in modo più modesto alle consultazioni corporative, esprimendo talvolta preferenze per candidati indipendenti alle cariche dell’Anm o a un seggio nel Csm.
Nel complesso si deve dire che le associazioni dei magistrati individualmente prese e con la loro azione congiunta all’interno del Csm hanno contribuito significativamente a costruire e orientare l’identità corporativa dell’ordine giudiziario e ne hanno rafforzato il protagonismo. Sono state attive promotrici di discussioni sul funzionamento del sistema giudiziario e hanno svolto un ruolo rilevante nel concepirne e promuoverne le riforme (oltre che nell’opporsi a riforme sgradite provenienti dall’esterno). Questa capacità di influenza è stata rafforzata anche dal fatto che la gran parte degli esperti che lavoravano al ministero della Giustizia su questi temi sono stati magistrati distaccati temporaneamente dal loro lavoro. Si potrebbe persino dire che ci sia stata per molto tempo una vera e propria tendenza alla «cattura» dell’autorità politica da parte di quella corporativo-giudiziaria.
3.5. Il giudiziario protagonista del rinnovamento e del conflitto politico
Come si è anticipato (cfr. cap. 2), la crescente autonomia e la rafforzata iden¬tità corporativa del giudiziario, così come l’accresciuto attivismo dei singoli magistrati, sono stati tra le precondizioni di quel fenomeno che va sotto il nome giornalistico di Mani pulite. Nel 1992 quello che era iniziato come un caso non particolarmente rilevante di corruzione politica locale si è sviluppato rapidamente in un’operazione su larga scala di messa in stato d’accusa che ha coinvolto in pratica l’intera leadership nazionale dei partiti tradizionalmente al governo (De, Psi, Psdi, Pri e Pii), una componente più limitata dei partiti di opposizione e un gruppo significativo di imprenditori privati e di mana¬ger di aziende statali o parastatali. La magistratura, con alla testa un gruppo di pubblici ministeri milanesi che operavano in forte sintonia tra loro, ha
portato alla luce del sole sia un diffuso sistema di finanziamento illegale dei partiti che la pervasiva presenza di fenomeni di corruzione negli appalti di opere pubbliche e nelle commesse statali. Mentre in passato singoli magistrati avevano accusato singoli politici, questa volta si è trattato di un gruppo di pubblici ministeri che coordinando la loro azione hanno messo sotto inchiesta un’intera fetta di classe dirigente. Che da uno specifico caso giudiziario si sia potuti giungere poi a un’azione così estesa e infine al collasso di una classe politica è stato dovuto non solo alle precondizioni già menzionate, ma anche (e forse soprattutto) alla crisi interna di una classe politica che da un lato era diventata sempre più dipendente da quei mezzi illegali per finanziarsi e per pagare i costi crescenti della politica, e dall’altro era sempre meno in grado di legittimarsi di fronte all’opinione pubblica grazie alle proprie realizzazioni dipolicy (che lasciavano assai a desiderare). Con questa azione è venuta meno una sorta di acquiescenza che aveva portato la società, e con essa buona parte della magistratura, ad accettare senza porsi troppe domande il sistema prevalente di finanziamento della politica.
Il ruolo dei media e dell’opinione pubblica nel dare sostegno e incoraggia-mento all’azione del giudiziario è stato sicuramente di primaria importanza, ma è stato anche all’origine di alcuni problemi che ne sono derivati. I pubblici ministeri responsabili di questi casi giudiziari, e soprattutto alcuni di essi, sono diventati improvvisamente delle star del sistema mediatico anche grazie al fatto che i processi venivano mostrati in televisione. Sono stati quindi incoraggiati a fare un uso un po’ troppo facile di alcuni mezzi giudiziari straordinari, come la carcerazione preventiva, per ottenere le confessioni degli accusati e ad indossare pubblicamente i panni dei riformatori politici e sociali. In questo modo si sono trovati spesso a muoversi in maniera che lasciava adito a qualche dubbio sotto il profilo della regolarità procedurale, mentre contemporanea¬mente entravano nella difficile arena politica.
La linea di confine tra azione giudiziaria e politica è diventata molto più incerta nel corso degli anni ’90 e i magistrati si sono trovati spesso a varcarla. Un esempio abbastanza clamoroso si ebbe quando nel 1993, avendo il governo Amato cercato di chiudere con un atto parlamentare di sanatoria la bufera giudiziaria, i pubblici ministeri milanesi si espressero con una dichiarazione pubblica per fermare l’azione del governo e del parlamento (cosa che otten¬nero), o quando il più noto di questi magistrati, Di Pietro, allora una delle persone più popolari d’Italia, decise di dedicarsi all’impegno politico.
Con la vittoria di Berlusconi nelle elezioni del 1994 e la sua conquista del posto di capo del governo le relazioni tra giudiziario e istituzioni rappresen-tative sono entrate in una nuova fase, ma neanche questa tranquilla. E vero infatti che il nuovo leader si era dissociato dalla vecchia classe politica sotto attacco dei magistrati di Mani pulite, presentandosi come un politico nuovo ben diverso dai vecchi professionisti di partito, e che i suoi canali televisivi avevano ancora più nettamente cavalcato l’onda dell’antipolitica e dell’anti- partitismo di quegli anni. Non si può dimenticare tuttavia che Berlusconi e la sua compagnia televisiva, Mediaset, erano stati particolarmente vicini ai
politici di governo della tarda Prima Repubblica - Craxi per il Psi e Forlani per la De - e dunque non certo estranei al sistema che stava entrando in crisi. Inoltre Berlusconi, come molti altri imprenditori piccoli e grandi, aveva mo¬strato una forte propensione a sfuggire alle tasse con una varietà di mezzi ai limiti della legalità. Dopo aver perseguito i politici della Prima Repubblica, i magistrati si trovavano di fronte come presidente del Consiglio una persona che combinava le due posizioni di politico e di imprenditore dando quindi adito a duplici sospetti.
Va ricordato anche un tentativo di Berlusconi, con l’offerta a Di Pietro di un posto di ministro nel suo governo, di giungere a un tacito accordo con la magistratura più attivista; ma questo accordo non è riuscito. E molto presto i pubblici ministeri hanno cominciato estrazione dati a mettere sistematicamente sotto esame l’impero finanziario sia nazionale che internazionale del capo del governo, trovando un certo numero di operazioni di dubbia legalità condotte in passato dai suoi collaboratori (se non da lui stesso). Le inchieste e i giudizi che hanno coinvolto il capo di Forza Italia e le sue società sono continuate senza inter-ruzione per tutti gli anni successivi creando, soprattutto quando Berlusconi è stato in carica, una sorta di «guerra giudiziaria» che ha inevitabilmente assunto anche i toni di un conflitto politico e istituzionale. Da un lato gli accusatori erano convinti di poter addurre prove rilevanti di comportamenti illeciti di Berlusconi stesso o del suo entourage, dall’altro il leader politico li accusava di un accanimento discriminatorio contro la sua persona motivato dagli orientamenti politici dei magistrati, visto che altri centri economici non ricevevano un’attenzione paragonabile.
Non è semplice né possibile qui valutare accuratamente le ragioni di una parte e dell’altra. I processi che si sono celebrati hanno in qualche caso portato a condanne (anche per reati assai gravi) di collaboratori di Berlusconi, in altri ci sono state assoluzioni, in altri ancora è intervenuta la prescrizione. In ogni caso il conflitto tra la magistratura e un politico di primo piano ha assunto caratteri diversi dall’epoca di Mani pulite. Questa volta, infatti, non si è avuta una rapida vittoria del giudiziario: mentre i politici di allora si erano fatti da parte, in questo caso Berlusconi, forte di un consenso popolare non intac¬cato dalle accuse e sostenuto dall’alleanza di cui era stato il creatore, non ha abbandonato il campo, anzi ha sempre
BOX 9.1.
Consiglio superiore della magistratura
Membri di diritto:
- presidente della Repubblica (presidente de iure del Csm)
- primo presidente della Corte di cassazione
- procuratore generale presso la Corte di cassazione
Membri elettivi:
- 16 eletti da tutti i magistrati (2 giudici di cassazione, 4 giudici requirenti, 10 giudici di merito)
- 8 eletti dal parlamento tra professori universitari di materie giuridiche e avvocati con più di quindici anni di esperienza professionale
una sua leadership «politica» interna, pronta a combattere strenuamente per i propri diritti corporativi (materiali e di carriera) e con un atteggiamento assai indipendente e a volte anche aggressivo nei confronti dell’esecutivo e in generale dei politici elettivi.
Il Csm era stato concepito dalla costituzione essenzialmente come uno stru-mento per regolare e disciplinare il funzionamento interno del giudiziario. In particolare gli era stato attribuito il potere di nominare i magistrati alle diverse posizioni, di promuoverli o di rimuoverli dal loro posto e di punirli per motivi disciplinari. Grazie a questa istituzione il giudiziario sarebbe stato protetto da interventi esterni che potessero minacciare la sua autonomia (artt. 105 e 106 cost.). Il potere del ministro della Giustizia nei confronti dei magistrati ne risultava significativamente ridotto. Al ministro rimaneva soltanto il potere di promuovere l’azione disciplinare, ma alla fine ogni decisione in materia doveva poi essere presa dal Csm. In pratica in questi casi il ministro svolge il ruolo dell’accusa, ma il giudice è il Consiglio (e dunque in gran parte un collegio di magistrati).
Nel disegno costituzionale il Csm è stato pensato come un corpo misto, com-posto per una parte maggioritaria da rappresentanti dei magistrati, ma anche con una componente legata alle istituzioni rappresentative democratiche. In questa prospettiva oltre ai componenti eletti da tutti i magistrati e ai due più alti magistrati che ne fanno parte de iure, ci sono alcuni componenti «laici» eletti dal parlamento. Questi ultimi hanno tradizionalmente rappresentato in maniera abbastanza proporzionale maggioranza e opposizione e sono stati in genere caratterizzati da un’esperienza politica oltre che dalla qualificazione tecnico-giuridica (box 9.1).
Il Csm è presieduto de iure dal presidente della Repubblica, ma vista la cre-scente mole di lavoro dell’istituzione e gli impegni del capo dello stato la sua presidenza è assicurata in pratica dal vicepresidente, scelto da tutti i membri del Consiglio, tradizionalmente tra i membri laici. Questa figura si è trovata negli
TAB. 9.2. Elezioni dei componenti togati del Csm italiano, 1976-2010
SINISTRA —► DESTRA
MAGISTRATURA
DEMOCRATICA
% SEGGI MOVIMENTO PER
LA GIUSTIZIA
% SEGGI UNIONE PER LA
COSTITUZIONE
% SEGGI MAGISTRATURA
INDIPENDENTE
% SEGGI ALTRI GRUPPI % SEGGI VOTANTI
1976 13 2 42 9 36 8 9 1 5.943
1981 14 3 43 9 38 8 5 5.590
1986 19 3 41 9 34 7 6 1 6.159
1990 22 4 12 3 36 8 30 5 6.115
1994 24 5 16 4 42 8 18 3 6.837
1998 25 5 16 3 37 8 22 4 7.040
2003 26 5 18 3 37 6 15 2 4 6.847
2006 22 4 17 3 40 6 18 3 4 7.128
2010 3 3 6 3 1 7.402
Notali seggi in palio peri membri togati erano 20 fino al 1998. In forza della riformali. 442002) sono stati ridotti a 16. La riforma ha inoltre cambiato il sistema elettorale, abrogando il vecchio sistema proporzionale di lista con 4 circoscrizioni territoriali e inserendo tre separate competizioni per giudici costituzionali, requirenti e di merito.
Fonte: Adattato da Guarnieri e Pederzoli 1997 con dati Anm.
ultimi anni in una posizione delicata, dovendo in qualche modo mediare tra il giudiziario e il mondo politico in un contesto di crescente conflittualità.
Nei primi anni della sua vita il Csm, per effetto del sistema elettorale di tipo maggioritario con il quale veniva eletto e per il prevalere nell’ambito del corpo giudiziario di una cultura deferenziale, fu dominato dai magistrati della Corte di cassazione che avevano allora una vicinanza piuttosto stretta con il ministro della Giustizia e con il governo. E così, dati i poteri di nomina e di promozione e roriginario meccanismo di carriera dei giudici basato su concorsi e valutazioni, il Consiglio tendeva a riprodurre l’equilibrio esistente nel corpo giudiziario. La sua capacità di mantenere e riprodurre lo status quo è stata però progressi¬vamente erosa man mano che l’immissione di nuove leve di magistrati formati a una cultura diversa e meno inclini a sopportare questo conservatorismo, si è combinata con un processo di politicizzazione di settori significativi della magistratura. L’autorità dei ranghi superiori è stata progressivamente messa in questione anche attraverso le critiche mosse al coinvolgimento o comunque all’acquiescenza di una parte di questi nei confronti del passato regime autori¬tario. I magistrati di più alto livello sono quindi rimasti sempre più isolati e la loro associazione, l’Unione magistrati italiani (Umi), non è riuscita a far fronte alla concorrenza dell’Anm, che contando su un numero molto più alto di iscritti presso i ranghi inferiori del corpo giudiziario è stata in grado di ottenere un sistema elettorale più proporzionale e attraverso questo ha progressivamente ribaltato gli equilibri interni al Consiglio.
All’interno dell’Anm si sono progressivamente sviluppate delle correnti caratterizzate da differenti orientamenti politici di fondo (di sinistra, di cen¬tro, di destra), ma anche da concezioni parzialmente diverse del ruolo del potere giudiziario e dei magistrati nella società e dell’organizzazione interna della magistratura (tab. 9.2). Questi «partiti giudiziari» Piana e Vauchez
in stampa sono diventati gli attori centrali del Csm e hanno introdotto nei suoi lavori una logica quasi parlamentare. La dialettica destra-sinistra tra le correnti, e per molti anni in particolare tra Magistratura democratica, di sinistra, e Magistratura indipendente, più conservatrice, ha avuto una parte importante nel definire le politiche del Csm. Ancora oggi i membri togati del Consiglio vengono eletti dalle distinte componenti dell’associazione. Tuttavia, in parallelo con lo sconquasso del sistema partitico nel corso degli anni ’90, tali componenti si sono trasformate (soprattutto la corrente maggioritaria di Unione per la costituzione e il piccolo gruppo nato più di recente, Movimento per la giustizia) dividendosi e caratterizzandosi per una maggiore autonomia dalla politica. Inoltre, le diverse correnti hanno per lo più teso a fare fronte comune a difesa dei privilegi corporativi e nell’opporsi alle riforme non gradite promosse da governo e parlamento. Questo ha creato talvolta un disagio negli stessi elettori-giudici, che partecipano in modo più modesto alle consultazioni corporative, esprimendo talvolta preferenze per candidati indipendenti alle cariche dell’Anm o a un seggio nel Csm.
Nel complesso si deve dire che le associazioni dei magistrati individualmente prese e con la loro azione congiunta all’interno del Csm hanno contribuito significativamente a costruire e orientare l’identità corporativa dell’ordine giudiziario e ne hanno rafforzato il protagonismo. Sono state attive promotrici di discussioni sul funzionamento del sistema giudiziario e hanno svolto un ruolo rilevante nel concepirne e promuoverne le riforme (oltre che nell’opporsi a riforme sgradite provenienti dall’esterno). Questa capacità di influenza è stata rafforzata anche dal fatto che la gran parte degli esperti che lavoravano al ministero della Giustizia su questi temi sono stati magistrati distaccati temporaneamente dal loro lavoro. Si potrebbe persino dire che ci sia stata per molto tempo una vera e propria tendenza alla «cattura» dell’autorità politica da parte di quella corporativo-giudiziaria.
3.5. Il giudiziario protagonista del rinnovamento e del conflitto politico
Come si è anticipato (cfr. cap. 2), la crescente autonomia e la rafforzata iden¬tità corporativa del giudiziario, così come l’accresciuto attivismo dei singoli magistrati, sono stati tra le precondizioni di quel fenomeno che va sotto il nome giornalistico di Mani pulite. Nel 1992 quello che era iniziato come un caso non particolarmente rilevante di corruzione politica locale si è sviluppato rapidamente in un’operazione su larga scala di messa in stato d’accusa che ha coinvolto in pratica l’intera leadership nazionale dei partiti tradizionalmente al governo (De, Psi, Psdi, Pri e Pii), una componente più limitata dei partiti di opposizione e un gruppo significativo di imprenditori privati e di mana¬ger di aziende statali o parastatali. La magistratura, con alla testa un gruppo di pubblici ministeri milanesi che operavano in forte sintonia tra loro, ha
portato alla luce del sole sia un diffuso sistema di finanziamento illegale dei partiti che la pervasiva presenza di fenomeni di corruzione negli appalti di opere pubbliche e nelle commesse statali. Mentre in passato singoli magistrati avevano accusato singoli politici, questa volta si è trattato di un gruppo di pubblici ministeri che coordinando la loro azione hanno messo sotto inchiesta un’intera fetta di classe dirigente. Che da uno specifico caso giudiziario si sia potuti giungere poi a un’azione così estesa e infine al collasso di una classe politica è stato dovuto non solo alle precondizioni già menzionate, ma anche (e forse soprattutto) alla crisi interna di una classe politica che da un lato era diventata sempre più dipendente da quei mezzi illegali per finanziarsi e per pagare i costi crescenti della politica, e dall’altro era sempre meno in grado di legittimarsi di fronte all’opinione pubblica grazie alle proprie realizzazioni dipolicy (che lasciavano assai a desiderare). Con questa azione è venuta meno una sorta di acquiescenza che aveva portato la società, e con essa buona parte della magistratura, ad accettare senza porsi troppe domande il sistema prevalente di finanziamento della politica.
Il ruolo dei media e dell’opinione pubblica nel dare sostegno e incoraggia-mento all’azione del giudiziario è stato sicuramente di primaria importanza, ma è stato anche all’origine di alcuni problemi che ne sono derivati. I pubblici ministeri responsabili di questi casi giudiziari, e soprattutto alcuni di essi, sono diventati improvvisamente delle star del sistema mediatico anche grazie al fatto che i processi venivano mostrati in televisione. Sono stati quindi incoraggiati a fare un uso un po’ troppo facile di alcuni mezzi giudiziari straordinari, come la carcerazione preventiva, per ottenere le confessioni degli accusati e ad indossare pubblicamente i panni dei riformatori politici e sociali. In questo modo si sono trovati spesso a muoversi in maniera che lasciava adito a qualche dubbio sotto il profilo della regolarità procedurale, mentre contemporanea¬mente entravano nella difficile arena politica.
La linea di confine tra azione giudiziaria e politica è diventata molto più incerta nel corso degli anni ’90 e i magistrati si sono trovati spesso a varcarla. Un esempio abbastanza clamoroso si ebbe quando nel 1993, avendo il governo Amato cercato di chiudere con un atto parlamentare di sanatoria la bufera giudiziaria, i pubblici ministeri milanesi si espressero con una dichiarazione pubblica per fermare l’azione del governo e del parlamento (cosa che otten¬nero), o quando il più noto di questi magistrati, Di Pietro, allora una delle persone più popolari d’Italia, decise di dedicarsi all’impegno politico.
Con la vittoria di Berlusconi nelle elezioni del 1994 e la sua conquista del posto di capo del governo le relazioni tra giudiziario e istituzioni rappresen-tative sono entrate in una nuova fase, ma neanche questa tranquilla. E vero infatti che il nuovo leader si era dissociato dalla vecchia classe politica sotto attacco dei magistrati di Mani pulite, presentandosi come un politico nuovo ben diverso dai vecchi professionisti di partito, e che i suoi canali televisivi avevano ancora più nettamente cavalcato l’onda dell’antipolitica e dell’anti- partitismo di quegli anni. Non si può dimenticare tuttavia che Berlusconi e la sua compagnia televisiva, Mediaset, erano stati particolarmente vicini ai
politici di governo della tarda Prima Repubblica - Craxi per il Psi e Forlani per la De - e dunque non certo estranei al sistema che stava entrando in crisi. Inoltre Berlusconi, come molti altri imprenditori piccoli e grandi, aveva mo¬strato una forte propensione a sfuggire alle tasse con una varietà di mezzi ai limiti della legalità. Dopo aver perseguito i politici della Prima Repubblica, i magistrati si trovavano di fronte come presidente del Consiglio una persona che combinava le due posizioni di politico e di imprenditore dando quindi adito a duplici sospetti.
Va ricordato anche un tentativo di Berlusconi, con l’offerta a Di Pietro di un posto di ministro nel suo governo, di giungere a un tacito accordo con la magistratura più attivista; ma questo accordo non è riuscito. E molto presto i pubblici ministeri hanno cominciato estrazione dati a mettere sistematicamente sotto esame l’impero finanziario sia nazionale che internazionale del capo del governo, trovando un certo numero di operazioni di dubbia legalità condotte in passato dai suoi collaboratori (se non da lui stesso). Le inchieste e i giudizi che hanno coinvolto il capo di Forza Italia e le sue società sono continuate senza inter-ruzione per tutti gli anni successivi creando, soprattutto quando Berlusconi è stato in carica, una sorta di «guerra giudiziaria» che ha inevitabilmente assunto anche i toni di un conflitto politico e istituzionale. Da un lato gli accusatori erano convinti di poter addurre prove rilevanti di comportamenti illeciti di Berlusconi stesso o del suo entourage, dall’altro il leader politico li accusava di un accanimento discriminatorio contro la sua persona motivato dagli orientamenti politici dei magistrati, visto che altri centri economici non ricevevano un’attenzione paragonabile.
Non è semplice né possibile qui valutare accuratamente le ragioni di una parte e dell’altra. I processi che si sono celebrati hanno in qualche caso portato a condanne (anche per reati assai gravi) di collaboratori di Berlusconi, in altri ci sono state assoluzioni, in altri ancora è intervenuta la prescrizione. In ogni caso il conflitto tra la magistratura e un politico di primo piano ha assunto caratteri diversi dall’epoca di Mani pulite. Questa volta, infatti, non si è avuta una rapida vittoria del giudiziario: mentre i politici di allora si erano fatti da parte, in questo caso Berlusconi, forte di un consenso popolare non intac¬cato dalle accuse e sostenuto dall’alleanza di cui era stato il creatore, non ha abbandonato il campo, anzi ha sempre
Thursday, January 21, 2016
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Friday, January 1, 2016
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