Wednesday, January 27, 2016

prima edizione, quando

che ha evidenziato la crescita improvvisa della volatilità elettorale, sia totale che di blocco, sin dal 1992 - evidentemente un’elezione già «diversa» rispetto al trend della Prima Repubblica. Il mutamento ha raggiunto il suo picco massimo nel 1994 e ha mantenuto livelli elevati ancora nel 1996. La tabella 4.2 mostra altresì che quella del 2001 può essere considerata davvero un’elezione di «stabilizzazione» del nuovo sistema partitico (cfr. cap. 3), anche se i dati successivi non tornano mai alla bonaccia che aveva connotato lunghi tratti della Prima Repubblica. Identificato il quantum di mutamento, almeno in termini di esiti per il sistema partitico, dovremmo poter interpretare meglio i fattori che spiegano le nuove scelte degli elettori. Ma su questo aspetto la discussione è ancora aperta: in genere, gli specialisti hanno finito per enfatizzare soprattutto la continuità nei comportamenti elettorali del periodo 1994-2006, nel quale le sole variazioni dell’astensionismo intermittente avrebbero favorito il successo di una coali-zione o dell’altra D’Alimonte e Bartolini 2002, Questa osservazione sulla relativa instabilità del voto in Italia non impedisce tuttavia l’apertura di altri suggestivi fronti di discussione, come la ricerca di correlazioni tra appartenenza socio-occupazionale e scelta di voto Beliucci 1997, o, più recentemente, sul forte impatto esercitato sugli elettori dal richiamo della leadership o di alcune specifiche issues (cfr. cap. 10). 2.4. Dal «quasi-pareggio del 2006 al bipolarismo limitato Le elezioni del 9-10 aprile 2006 saranno ricordate per un esito incredibil¬mente incerto: la vittoria finale della coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi è stata decisa alla Camera da una maggioranza di soltanto 24.000 voti, che sono stati però sufficienti affinché la coalizione ottenesse, in forza della nuova legge elettorale, il premio di maggioranza che ha portato a 340 il numero complessivo dei propri seggi. Al Senato, invece, nonostante un numero complessivo di voti inferiore alla coalizione avversa, lo stesso centro-sinistra ha ottenuto una risicatissima maggioranza di soltanto due senatori, grazie al gioco dei «piccoli premi di maggioranza» e al buon risul¬tato del cartello dell’Unione nella circoscrizione per gli italiani all’estero. Si è trattato di una vittoria di Romano Prodi e della sua coalizione, a dispetto dell’ostacolo frappostogli dalla riforma elettorale e delle tante esternazioni della Cdl (e del suo leader, Berlusconi, in particolare) che hanno messo in dubbio la legittimità delle elezioni ipotizzando brogli e irregolarità nel computo dei voti? O forse si è trattato di una (quasi-)vittoria dello stesso Berlusconi, capace di recuperare con un efficace sprint finale il vantaggio che Prodi con una lunga maratona aveva accumulato Mancini 2007? E ancora, la decisione del centro-destra di cambiare le regole elettorali alla fine si è rivelata controproducente? Gli eventi successivi sembrano dare qualche risposta a tali domande: sicu-ramente, Prodi non aveva vinto con margine sufficiente per governare una coalizione così complessa. Altrettanto sicuramente, Berlusconi poteva uscire dalla sua (seconda) sconfitta nei confronti del professore bolognese con una rinvigorita fama di «condottiero» che gli sarebbe tornata utile pochi mesi dopo, con la svolta del predellino e la fondazione del futuro Popolo della libertà. Tuttavia, una seconda risposta possibile è che l’Italia, in tutti questi anni, sia rimasta davvero «divisa» come mostra in fondo anche il risultato nettamente favorevole al centro-destra del 2008 (tab. 4.3). Si tratta di una divisione che non taglia esattamente a metà l’elettorato italiano, ma i dati di-cono che sia nel 2006 che nel 2008 la volatilità globale (tab. 4.2) si è assestata su livelli piuttosto contenuti e che, soprattutto, gli italiani hanno rinunciato del tutto a comportamenti di voto «non utili»: soltanto lo 0,5% dei voti validi è andato a liste non comprese nelle due coalizioni maggioritarie, mentre nel 2008 molti elettori di sinistra hanno preferito non rischiare un voto inutile al cartello della sinistra radicale, condannando così quest’area a rimanere fuori dal parlamento. Il percorso di progressiva bipolarizzazione, che nel 2006 sembrava com-pletato, nel 2008 è entrato in una nuova fase: la maggiore semplicità del sistema partitico viene infatti bilanciata dal ritorno di quello spazio centrale che, con l’emergere di varie forme di dissociazione sia dal Pdl che dal Pd nel corso della successiva legislatura, ha poi acquisito un certo potenziale di sopravvivenza. Questo stato di cose, che è stato dagli osservatori definito un TAB.4.3. Risultati elettorali, 2008 CAMERA SENATO VOTI (PREMIO) % SEGGI VOTI (ITALIA) % SEGGI Pdl 13.629.089 37,4 276 12.678.790 38,0 147 Ln 3.024.758 8,3 60 2.644.247 7,9 25 Mpa 410.487 1,1 8 355.076 1,1 2 Centro-destra 17.064.334 46,8 344 15.678.113 46,9 174 Pd 12.092.969 33,2 217 11.061.578 33,1 118 Idv 1.593.532 4,4 29 1.414.118 4,2 14 Svp - Insieme autonomie 153.965 0,5 2 Aut. Lib. Dem. (Valle d'Aosta) 1 26.375 0,1 0 Centro-sinistra 13.686.501 37,6 247 12.656.036 37,9 134 Udc 2.050.309 5,6 36 1.898.886 5,7 3 Sinistra arcobaleno 1.124.428 3,1 0 1.093.135 3,3 0 La Destra-Ft 885.226 2,4 0 703.685 2,1 0 Altri 3 4 Totale 630 315 Nota:! voti della colonna «Camera premio» non includono il collegio uninominale Valle d'Aosta e la circoscrizione estero. I voti della colonna «Senato Italia» non considerano la circoscrizione estero. Le colonne relative ai seggi invece tengono conto dei collegi esclusi dalle colonne precedenti. Fonte: Ministero dell'Interno. «bipolarismo limitato» D’Alimonte e Chiaramonte 2010, non ha scardinato il sistema delle preferenze emerso sin dai primi anni della Seconda Repub¬blica. I comportamenti e le aspettative degli elettori non sembrano insomma mutare in modo così evidente nel tempo. In altre parole, la continuità degli atteggiamenti - tradizionale caratteristica nel comportamento elettorale degli italiani - è ancora evidente. A guardare bene, le ultime elezioni hanno mostrato qualche elemento im-portante di cambiamento o consolidamento negli atteggiamenti degli elettori italiani. Solo per fare alcuni esempi, inserimento dati possiamo citare il rafforzamento di un astensionismo che per la prima volta ha colpito in modo evidente anche la sinistra radicale, l’ulteriore sfilacciamento del voto cattolico, il disagio e l’in-certezza nelle generazioni più giovani, e infine il posizionamento di alcune key issues sapientemente condotte dalla comunicazione politica al centro del dibattito. Tutti questi fenomeni, al centro delle analisi degli specialisti Itanes 2008, non mutano tuttavia il quadro complessivo di polarizzazione e di forti divisioni identitarie che connota l’elettorato italiano da alcuni decenni. In definitiva, sono relativamente pochi coloro che cambiano leader o partito (o semplicemente che decidono le sorti di una elezione attivandosi o meno), ma le motivazioni alla base di questi limitati, ma decisivi, spostamenti sono le più disparate, dipendendo dalla comunicazione politica, dallo stile delle campagne, dalla capacità di leadership, e talvolta anche (per fortuna!) dai contenuti delle piattaforme programmatiche. Il «mondo» dell’elettore italiano, per quanto stabile, è dunque assai complesso e sensibile a una molteplicità di fattori, e questo giustifica il risveglio della ricerca su questi temi Bellucci e Segatti 2011, 3. CULTURE POLITICHE E COMPORTAMENTO ELETTORALE 3.1. La cultura politica degli italiani L’evoluzione del rapporto tra la politica e un’intera società non è catturabile e interpretabile soltanto a partire dall’analisi macro del comportamento di voto e dalla misurazione dell’impatto delle diverse regole del gioco. Non a caso, gli approcci tradizionalmente proposti dalla scienza politica allo studio del comportamento politico in un dato paese sono plurali e complementari. Alcuni studiosi si concentrano sulla ripetitività dei comportamenti di voto e sulla partecipazione, altri analizzano, con il decisivo apporto di dati di son¬daggio, l’evoluzione della presenza di particolari valori e orientamenti come la religione, l’identificazione di classe, le conoscenze del gioco politico e il grado di capacità di valutazione degli attori politici. Altri ancora studiano il peso di alcuni valori predominanti che si radicano nel territorio generando «culture subnazionali» o più semplicemente «subculture», con effetti di lungo periodo sui comportamenti politici. Le prime dimensioni di analisi sono state brevemente affrontate nei paragrafi precedenti, mentre qui ci concentriamo sulla terza dimensione, limitando peraltro la nostra presentazione alla discus-sione delle implicazioni che l’esistenza di subculture radicate oramai da oltre un secolo determinano nelle scelte di voto e in generale nei comportamenti politici. Del resto, abbiamo già ricordato in apertura, in termini generali, l’importanza che riveste la variabile territoriale nello strutturare i modelli del comporta-mento di voto in una comunità politica così geograficamente e socialmente frammentata come quella italiana. Nelle prossime pagine descriveremo l’evoluzione dei trend di differenziazione territoriale nel voto durante l’era repubblicana, partendo dai risultati della copiosa letteratura sulle Italie del voto Cartocci 1985. Ovviamente, rispetto ai dati e alle ricchissime implicazioni contenute in questa letteratura facciamo qui la scelta precisa di estrapolare soltanto conoscenze descrittive e generali sul comportamento politico degli italiani. 3.2. Le subculture e le Italie del voto La figura 4.4 mostra l’illustrazione sommaria, tratta da un noto studio con-dotto su dati disaggregati a livello provinciale Diamanti 2009, del modello fig. 4.4. Aree del voto subculturale in Italia (1948-1990). Fonte: Elaborazione www.demos.it. Si ringrazia Ilvo Diamanti per aver reso la mappa disponibile. di distribuzione dei voti nella fase «partitocratica». In questa sede non commentiamo in dettaglio le caratteristiche delle varie «zone subculturali». Dobbiamo tuttavia soffermarci su alcune macroaree, ben identificate nella mappa, dove, per un lungo periodo, i partiti dominanti hanno potuto per-petuare la propria superiorità di consensi grazie, appunto, a un consolidato legame subculturale, ovvero al prevalere di un voto di tipo identitario da parte di una forte maggioranza relativa di elettori. Secondo la mappa, l’«area rossa» si sovrapponeva alle quattro regioni del centro, mentre quella «bianca» comprendeva essenzialmente le regioni del triveneto, la parte orientale della Lombardia, la Brianza e la provincia di Cuneo in Piemonte. Gli altri territori del Nord si dividevano tra aree parzialmente caratterizzate dalla presenza della subcultura «bianca» e aree «neutrali» (soprattutto in Piemonte e Liguria) dove la forte componente operaia poteva favorire la sinistra, o dove una componente rilevante di «voto di opinione» diventava spesso decisiva. Altre aree neutrali (in termini di prevalenza subculturale) erano quelle urbane del Centro-Sud. A Roma, per esempio, l’elettorato cittadino sceglieva in prevalenza la sinistra, mentre le periferie e la campagna laziale erano dominate dalla De. Anche le regioni del Sud risultavano caratterizzate dall’assenza di un vero e proprio dominio subculturale, ma questo non ha impedito alla De di mantenere il controllo su larghe fasce di elettorato, grazie a un’élite politica che in queste aree era maggiormente legata alla tradizione notabilare della fase prerepubblicana, e che riusciva a ottenere una grande messe di consensi anche in virtù di un esteso voto di scambio. Si può dire che la distribuzione dei comportamenti di voto prevalenti si sovrapponeva in modo piuttosto preciso ai confini di entità politico-amministrative - le province e in qualche misura le regioni - che certo avevano una loro «storia» ma che costituivano, tutto sommato, creazioni piuttosto recenti (cfr. cap. 6). Non mancavano tuttavia significative eccezioni, come mostrano le varie «isole» subculturali riscontrabili nella mappa. A livello macro, appare significativamente deviarne soprattutto il caso della Sardegna, regione con una piccola area di predominio comunista a sud, nella zona di Cagliari, e un voto moderato e sostanzialmente favorevole alla De nelle restanti aree. In quale misura la differenziazione tra le varie aree è ancora rilevante? Le domande sul radicamento delle subculture politiche hanno attratto in realtà l’attenzione di molti studiosi sin dagli anni ’60, quando presso l’Istituto Cattaneo di Bologna venne organizzata la prima ricerca in profondità sul comportamento elettorale degli italiani Galli 1968. Gli esperti, politologi e sociologi ma anche alcuni storici, hanno spiegato come la continuità di un chiaro modello di differenziazione degli orientamenti partitici prevalenti avesse una solida origine culturale, che si sovrapponeva

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